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Un team di esperti quali il professore di Endocrinologia Carlo Foresta coordinatore della Reteendocrinologica veneta, il dottor Andrea di Nisio e il professor della St. Louis University Nicola Pozzi sono giunti alla conclusione che i PFAS sarebbero in grado di reagire con il legame tra testosterone e il suo recettore. I PFAS in sostanza andrebbero ad occupare il sito riservato al testosterone. Questo provocherebbe la diminuzione dell’attività dell’ormone maschile del 50% .
Il professor Foresta rende ancor più preoccupante l’interagire del PFAS con il testosterone perché sembrerebbe dimostrata la sua presenza nel cordone ombelicale e nella placenta umana. Questo porterebbe ad una interferenza precoce con l'essere umano, con conseguenze documentate, quali la bassa statura ed il peso al di sotto della norma. Dati statistici indicano un aumento di malattie andrologiche che potrebbero essere collegate a questo elemento inquinante causa quindi di infertilità, criptorchidismo e tumori del testicolo”.
I PFAS, qualora smaltiti irregolarmente, raggiungono i nostri alimenti inquinando le falde acquifere, dalle falde acquifere li ritroviamo nell'acqua, nei campi, nei proditti agricoli e infine nel cibo.
Nella recente cronaca abbiamo letto del triste caso della bimba morta di malaria. Abbiamo trovato malattie dal nome strano: Chikungunya, Virus Zika, Febbre del Nilo. Queste infezioni sono veicolate da persona a persona tramite la puntura delle zanzare.
Fortunatamente non dobbiamo temere tutte le zanzare, le specie pericolose per l’uomo sono tre:
la Anopheles che trasmette il plasmodio della malaria;
la Culex,molto diffusa nel nostro paese, può trasmettere l’encefalite;
la Aedes, della cui specie fa partela zanzara tigre, possibile veicolo diChikungunya, Dengue e Febbre del Nilo. La Aedes Aegypti, invece, trasmette all’uomo la febbre gialla e il Virus Zika.
Nessun allarmismo per il momento, la maggior parte delle punture provoca pomfi pruriginosi, più o meno dolorosi, che in taluni casi possono infiammarsi e richiedere cure a livello locale.
Per evitare le fastidiose punture i consigli sono noti, munire di zanzariere le nostre abitazioni o usare i fornelletti con piastrine o liquido repellente, esistono anche repellenti da stendere direttamente sulla pelle. Infine, un consiglio semplice ma efficace, se ci rechiamo in luoghi all’aperto proteggiamoci con pantaloni e camicie a maniche lunghe.
Conosciuto per le sue proprietà antiacne, l’acido retinoico potrebbe diventare una cura per sconfiggere il cancro alla prostata e quello al seno. La sostanza è infatti in grado di distruggere le cellule malate.
I due tumori tra i più diffusi nella popolazione, quello alla prostata e quello al seno, potrebbero presto essere sconfitti grazie all’azione dell’acido retinoico. La sostanza sarebbe in grado di innescare nelle cellule malate una reazione di autodistruzione.
La scoperta è stata fatta da un team di ricercatori dell’Università La Sapienza (Roma), guidati da Elio Ziparo, in collaborazione con il Comprehensive Cancer Center di Cleveland (Ohio), guidato da Carlo M. Croce.“Gli effetti dell’acido retinoico su alcuni tipi di tumore sono noti da tempo – spiega Elio Ziparo - ma non era ancora chiaro il meccanismo per rendere tutte le cellule neoplastiche sensibili alla sostanza. I nostri risultati dimostrano che il trattamento combinato con una prima molecola capace di stimolare il TLR-3, permette alle cellule malate di accendere le “antenne” rendendole così sensibili all’azione killer della seconda molecola, l’acido retinoico.”
In sintesi i ricercatori hanno dimostrato che per rendere sensibili all’acido retinoico le cellule tumorali è necessario stimolare il recettore TLR-3 con una molecola, successivamente il trattamento con acido retinoico porterà le cellule malate all’autodistruzione.La ricerca, pubblicata dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) è stata sostenuta finanziariamente dalla Fondazione Roma e dall’Istituto Pasteur-Fondazione Cenci Bolognetti. La scoperta è un importante passo avanti nella lotta contro il cancro, ci si augura sia possibile procedere in questa direzione nonostante le difficoltà economiche in cui si trova la ricerca in Italia.
Gli antibiotici vanno usati con cautela e solo se prescritti dal medico, purtroppo spesso si utilizzano in maniera eccessiva e sconsiderata. Tutti i farmaci possono provocare effetti collaterali, quelli derivanti dall’assunzione di claritromicina sembrano essere particolarmente gravi.
Da un recente studio inglese si apprende che esiste un collegamento tra l’assunzione di claritromicina e la possibilità di sviluppare patologie cardiovascolari nei pazienti con patologie polmonari. L’antibiotico, commercializzato in Italia come Klacid e Macladin, è indicato per le infezioni del tratto respiratorio, in particolare bronchiti e polmoniti, sia batteriche che atipiche. Si utilizza, inoltre, negli episodi acuti della broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Il farmaco trova impiego anche per alcune infezioni della pelle quali impetigine, eresipela, follicolite, foruncolosi e ferite infette. E’ efficace, inoltre, nel trattamento dell’ulcera peptica in quanto eradica l'Helicobacter pylori.
Lo studio, pubblicato il 20 marzo 2013 sul British Medical Journal (bmj.com), ha preso in esame circa 3.000 pazienti, 1.631 affetti da polmonite, 1.343 in cura per BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). Una volta dimessi dall’ospedale i ricercatori hanno potuto constatare che il 26% dei pazienti trattati con claritromicina è andato incontro ad un problema cardiaco. Nei pazienti che non avevano assunto l’antibiotico l’evento cardiovascolare si presentava solo nel 18% dei casi. "In assoluto - riferiscono gli autori - il risultato suggerisce che c'è un evento cardiovascolare in più ogni otto pazienti trattati con claritromicina”.I ricercatori sottolineano che le loro scoperte richiedono conferme ma un insieme di evidenze suggeriscono un possibile collegamento tra rischi cardiovascolari a lungo termine e l’assunzione di alcuni antibiotici come i macrolidi.
Il codice penale non disciplina il caso specifico di chi uccide, o provoca lesioni gravi, guidando sotto l’effetto di alcol e droghe. Nasce così una proposta di legge che introduce il reato di omicidio stradale. Lo scopo è duplice, da un lato vengono istituite pene adeguate per i killer della strada, dall'altro si crea un deterrente per tali reati.
Non bastano le cinture di sicurezza, gli airbag e il casco, non bastano i limiti di velocità, ogni due ore sulle nostre strade una persona perde la vita. Dodici vittime al giorno, quattro delle quali, secondo l’Istituto Superiore della Sanità, rientrano nella fattispecie dell' omicidio stradale. Il nostro ordinamento li considera omicidi colposi (art. 589 c.p.), con pene che vanno da un minimo di due a un massimo di quindici anni. Nonostante gli anni di reclusione stabiliti dall’art. 589, spesso il killer della strada se la cava con poco. Da qui l’esigenza di istituire un articolo ad hoc, che impedisca al reo di evitare la pena grazie alla lassità delle maglie della giustizia.
A favore dell’istituzione del reato di omicidio stradale anche la trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto” che in collaborazione con la Polizia di Stato, ogni mercoledì sera dà spazio all’argomento. Al fine di sensibilizzare il pubblico vengono proposti video shock di incidenti stradali che testimoniano quanto sia facile, a bordo della propria auto, superare il confine tra la vita e la morte.
Per approfondire l’argomento e scoprire come sia disciplinato negli altri paesi europei è interessante il lavoro svolto da Lorenzo Borselli per la rivista “Il Centauro”, raccolto nell’articolo “Omicidio stradale nel mondo occidentale ecco come i vari ordinamenti considerano (e giudicano) "la colpa" di chi uccide al volante”. Sulla scia dei paesi anglosassoni ci si augura che anche in Italia l’omicidio stradale abbia presto una propria disciplina che, se non riuscirà a far diminuire le vittime della strada, sarà comunque un segnale di civiltà e di rispetto nei confronti di tutte quelle persone che per l'incoscienza di altri perdono la vita tra asfalto e lamiere.
Frequentare palestre e piscine aumenta la possibilità di contrarre infezioni della pelle. I dati di un recente studio confermano che un’alta percentuale di chi pratica sport va incontro a patologie epidermiche. Il dermatologo Fabio Rinaldi, docente alla Sorbona e presidente dell'IHRF (International Hair Research Foundation), ha preso in esame un campione di 500 pazienti, frequentatori abituali di luoghi sportivi. Il dato emerso dalla ricerca è allarmante, l’80 per cento degli sportivi avrebbe, infatti, contratto malattie della pelle. Sul podio delle patologie più diffuse troviamo le verruche (36%), seguono le micosi (28%), le follicoliti (19%) e irritazioni di varia natura (13%).
Frequentare palestre e piscine senza incorrere in fastidiose infezioni è possibile seguendo semplici accorgimenti. In primo luogo scegliamo una struttura sportiva pulita e ben aerata, utilizziamo un asciugamano personale quando usiamo gli attrezzi e indossiamo abbigliamento traspirante. Negli spogliatoi è bene evitare il contatto con la superficie dei sanitari e accedere alle docce con apposite ciabatte, è importante anche asciugarsi con cura per evitare la proliferazione di funghi e batteri. Infineè buona abitudine riporre gli indumenti usati in una busta di plastica e svuotare sempre la borsa una volta rientrati a casa.
L’ictus nel mondo colpisce una persona ogni sei secondi, quando a causarlo è la fibrillazione atriale la prevenzione è possibile per tre casi su quattro. I dati sono resi noti dall’Associazione per la lotta all’ictus cerebrale (A.L.I.Ce) che, in occasione del 29 ottobre, giornata mondiale contro la malattia promossa dalla WSO (World Stroke Organization), ha organizzato una serie di eventi a livello nazionale, tra cui la settimana della prevenzione. Da lunedì 22 ottobre al 29 in migliaia di farmacie italiane si effettuerà gratuitamente la misurazione della pressione arteriosa e l’eventuale fibrillazione atriale, principale fattore di rischio per la malattia.
Il messaggio lanciato dall’Associazione è che l'ictus, al contrario di quanto si crede, è una malattia evitabile e curabile. Due casi su tre potrebbero, infatti, essere evitati adottando uno stile di vita adeguato e individuando alcuni importanti fattori di rischio come: pressione arteriosa, fibrillazione atriale, diabete e ipercolesterolemia.In Italia ogni anno si contano 200.000 casi di ictus, l’infarto cerebrale è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e il cancro, inoltre, è la principale causa d’invalidità.
Il virus HPV (Human Papilloma Virus) oltre a provocare infezioni genitali, nel lungo periodo può essere causa del tumore al collo dell’utero. L’Italia è stato il primo Paese in Europa a pianificare una strategia di vaccinazione pubblica contro questo agente virale. La vaccinazione, proposta come sicura ed efficace, ha però sollevato alcune perplessità da parte della comunità scientifica. Il dottor Gava e Serravalle hanno raccoltodubbi, incognite e reazioni avverse dell’attuale vaccino nel libretto informativo “Vaccinare contro il Papillomavirus? Quello che dobbiamo sapere prima di decidere”. Secondo Gava e Serravalle I genitori delle ragazzine di 11-12 anni, invitate daparte dei Servizi di Igiene e Sanità Pubblica a vaccinarsi contro il Papillomavirus (HPV), dovrebbero essere informati di alcuni aspetti sottovalutati.
In primo luogo, spiegano i medici, in base ai principi della Farmacologia l’attuale vaccino anti-HPV non avrebbe mai dovuto essere commercializzato, almeno fino a quando non saranno disponibili dati concreti sul reale rapporto rischi/benefici e quindi non prima di altri 15 anni. Inoltre, non c’è dimostrazione alcuna che questo vaccino sia efficace nelle donne, le supposizioni della sua capacità protettiva verso il tumore del collo dell’utero è solo una estrapolazione di pochi dati, ricavati da pochissimi studi clinici ancora incompiuti. Non solo, la presunta efficacia sulle dodicenni è estrapolata da numeri derivanti da alcune ricerche condotte su donne adulte. L’argomento è ampiamente illustrato nell’art. “SOS ai genitori: riflettete prima di vaccinare contro il Papillomavirus le vostre figlie”, pubblicato il 10 agosto scorso su informasalus.it.
Un recente studio americano ha confermato la pericolosità del triclosano, una sostanza disinfettante presente in tanti prodotti di uso comune. Lo possiamo trovare nei saponi antibatterici, dentifrici e colluttori. Il triclosano è un derivato clorurato del fenolo con struttura chimica simile a quella della diossina. Come altri fenoli clorurati può accumularsi nei tessuti degli organismi viventi e attraverso il latte materno arrivare ai neonati. Gli studi finora condotti avevano dimostrato che la sostanza battericida era in grado di alterare il funzionamento di fegato, polmoni e sistema immunitario. Si era visto, inoltre, che comportava sterilità e ad alte dosi paralisi. Non stupisce più di tanto, quindi, il risultato di una ricerca condotta dal professorIsaac Pessahdellla UC Davis School of Veterinary Medicine (Usa), pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
Il recente studio avrebbe dimostrato la pericolosità del triclosano in quanto capace di compromettere l'apparato muscolo scheletrico e la contrattilità del muscolo cardiaco. Durante la ricerca due tipi di animali (topi e pesci) sono stati esposti a concentrazioni di triclosano pari a quelle cui siamo esposti quotidianamente nelle nostre case. Nelle cavie si è osservata una riduzione della forza muscolare e la compromissione della funzionalità cardiaca."Il triclosano si trova in casa praticamente ovunque - dichiara alla stampa l’autore dello studio - i nostri risultati forniscono una forte evidenza che questa sostanza chimica è una fonte di grande preoccupazione per la salute umana e ambientale".
Red Bull continua a far parlare di sé, dopo le avvertenze rilasciate da medici e nutrizionisti sui possibili danni per i consumatori, in particolare per i minori e le gestanti, arriva l’azione dell’Antitrust. I primi di agosto l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha avviato un procedimento per pratica commerciale scorretta a carico di Red Bull S.r.l.. Nel mirino dell’Antitrust la pubblicità della bevanda, che non indicherebbe le effettive caratteristiche del prodotto e i possibili effetti negativi legati a un consumo eccessivo, in particolare se mixata con alcol. Anche Altroconsumo ha segnalato con un esposto all’AGCM la potenziale pubblicità ingannevole del prodotto.
Già nel 2009 Red Bull si era vista comminare dall’Antitrust una sanzione di 80.000 Euro per pratica commerciale scorretta.