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Testo Libero

6 febbraio 2012 1 06 /02 /febbraio /2012 16:07

images-copia-6.jpgL'Associazione dei Chirurghi Plastici dell’Italia Centrale (ACPIC) ha pubblicato sul proprio sito online un articolo che descrive nel dettaglio la vicenda legata alle protesi prodotte dalla Poly Implant Prothese, a base di silicone industriale . La verità sulle protesi PIP”, dopo una prima parte in cui elenca le diverse tipologie di protesi mammarie e dei parametri che incidono sul rapporto costo/qualità, riassume in sette punti “la realtà dei fatti”. Riporto testualmente la seconda parte dello scritto:

 

1. Le protesi mammarie non sono eterne, di qualunque casa esse siano. Esistono pubblicazioni scientifiche attendibilissime che informano sul fatto che a dieci anni dall’intervento dal 26% al 50% delle protesi evidenziano fenomeni di importante usura o rottura conclamata. Addirittura uno studio più vecchio del 1998 (effettuato, però, su protesi che avevano minore resistenza nel tempo) stima che dopo 15 anni l’83% degli impianti presentava fenomeni di rottura. Una ricerca più attuale, verosimilmente grazie alla migliore qualità delle protesi di più recente produzione, offrirebbe risultati meno allarmanti. Da ciò si evince che tutte la pazienti sottoposte ad un intervento di mastoplastica additiva dovrebbero essere periodicamente sottoposti ad esami clinici e radiologici per accertare l’integrità delle protesi. Tale misura precauzionale è ancor più valida nel caso delle protesi PIP.

2. Le pazienti che non conoscono la tipologia delle loro protesi devono farne richiesta al chirurgo che le ha operate e che dopo aver effettuato una approfondita valutazione del caso attraverso gli esami clinico strumentali (ecografia e risonanza magnetica) suggerirà la condotta più opportuna.

3. Il Ministero della Salute inglese ha sottolineato che non esiste nessuna necessità di espiantare le protesi PIP a meno che non esista evidenza di fenomeni infiammatori o di rottura delle stesse.
Il Ministero della Salute italiano concorda sulla stessa linea di azione. In Francia Il Ministro francese Bertrand suggerisce la necessità di rimuovere le protesi contrastando con le conclusioni degli studi effettuati.

4. Non esistono motivi che debbano creare panico nelle pazienti in quanto è stato provato scientificamente da accurati studi pubblicati sulla migliore rivista di chirurgia plastica americana che confermano che la rottura di una protesi debba necessariamente essere trattata con urgenza soltanto qualora il gel abbia superato la barriera che il corpo crea e che circonda sempre la protesi stessa. Qualora esista un’usura od anche una rottura dell’impianto, ma senza stravaso del gel nei tessuti al di fuori di tale barriera, l’intervento di sostituzione non ha nessun carattere di urgenza ma può essere dilazionato e programmato nel tempo. A tutt’oggi esistono decine di migliaia di pazienti che vivono con protesi che presentano una rottura intracapsulare (in cui il gel rimane nella capsula cicatriziale formata dal corpo), lo ignorano e probabilmente morranno per cause naturali senza trarre alcun danno dagli impianti che portano con sé

5. Le responsabilità di questa situazione sono da attribuire esclusivamente alla casa PIP che ha pensato, verosimilmente per abbassare i costi di produzione, di usare materiali di minor qualità rispetto a quelli che utilizzava prima. Ignoriamo a che data risalga questo peggioramento nella qualità della produzione. Ad un esame fisico tale peggioramento di qualità non era assolutamente percepibile dal medico, quindi i chirurghi che hanno impiantato le protesi sono stati ingannati alla stessa stregua dei pazienti. E’ assurdo attribuire responsabilità ai medici utilizzatori di queste protesi le quali, non solo avevano il marchio CE come tutte le altre, ed un costo paragonabile a molte delle loro concorrenti ma presentavano, all’esame visivo, caratteristiche fisiche del tutto appropriate e ottimali per tali interventi. Per cui la scelta di tali impianti risultava prima della scoperta delle recenti ricerche assolutamente in linea con le norme vigenti che regolano la professione chirurgica in tutti gli stati dell’Unione Europea.

6. E’ opportuno sottolineare come anche gli organismi di controllo europei sui dispositivi medico-chirurgici non abbiano fatto una gran bella figura in questa occasione. Come è possibile che una volta elargita un’autorizzazione alla commercializzazione ad un certo tipo di protesi se ne controlli la qualità solamente dopo 10 anni, ed esclusivamente in seguito a segnalazioni di complicazioni? Non dovrebbe essere importante controllare annualmente caratteristiche e qualità di tali dispositivi che vengono inseriti in decine di migliaia di pazienti e che centinaia di migliaia di pazienti portano con sé per tutta la vita? La FDA americana è di gran lunga meno elastica e molto più severa nel permettere l’uso di qualunque dispositivo medico da usare su pazienti. Prima di ottenere un’autorizzazione alla commercializzazione esige esami meticolosi in vitro ed in vivo per periodi adeguati a fornire certezze scientifiche. Inoltre tale organizzazione esercita controllo continuativo sui prodotti garantendo che i criteri necessari vengano mantenuti immutati nel tempo ed ulteriormente adeguati ai miglioramenti conseguenti ai dati riportati dalle pubblicazioni e dai sanitari di riferimento.

7.  Il Ministero della Salute ha confermato che gli eventuali interventi causati da necessità di espianto saranno a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Non sono ancora stati comunicati i dettagli e le procedure da seguire per gli aspetti amministrativi relativi a tali interventi.”

 

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2 gennaio 2012 1 02 /01 /gennaio /2012 10:39

imagesCA3FCHFC.jpgMentre in gran Bretagna il ministero della Sanità avvierà un’inchiesta sulle protesi PIP, in Italia, entro il 15 gennaio, sarà completato il censimento di tutte gli impianti al silicone “industriale” effettuati dal gennaio 2001 su tutto il territorio nazionale. L’Inghilterra, che in un primo tempo aveva rassicurato le oltre 30.000 donne portatrici di protesi PIP sui rischi rottura, sconsigliando l’intervento di rimozione, ha deciso di alzare l’allerta. I dati contenuti in un recente rapporto, inviato al ministero britannico, hanno segnalato un rischio rottura sette volte maggiore rispetto a quello finora considerato. Il ministero della Sanità inglese ha, così, deciso di avviare un’inchiesta per far luce sui rischi conseguenti alla rottura delle protesi e alla fuoriuscita di silicone.  Non è escluso che anche oltremanica, come già accaduto in Francia, le donne vengano invitate a rimuovere le protesi a spese del servizio sanitario nazionale.

In Italia, a seguito dell’ordinanza firmata dal ministro della salute Renato Balduzzi, è partito il censimento degli interventi di chirurgia estetica avvenuti negli ultimi 10 anni, in cui sono state utilizzate protesi PIP. Tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche e private, accreditate o autorizzate, dovranno stilare, entro 15 giorni, un elenco nominativo degli interventi effettuati a partire dal primo gennaio 2001. La data degli impianti sarà notificata, tramite le Asl di riferimento, alle competenti autorità regionali, che entro 10 giorni invieranno i dati al Ministero. Al Comando Carabinieri per la tutela della salute è stato, invece, affidato il compito di svolgere accertamenti e indagini sui percorsi sanitari che hanno preceduto gli interventi chirurgici e sull’iter amministrativo seguito dalle strutture per l'acquisizione delle protesi PIP.

 

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28 dicembre 2011 3 28 /12 /dicembre /2011 09:26

images-copia-3.jpgL’allarme per le protesi mammarie PIP coinvolge decine di migliaia di donne in tutto il mondo, in Italia le portatrici di queste protesi sono circa 4.300. LIstituto Europeo di Oncologia (IEO), attivo a Milano dal 1994 sotto la direzione scientifica del prof. Umberto Veronesi, ha invitato tutte le pazienti cui sono state impiantate protesi PIP a recarsi presso la struttura per una visita gratuita completa di ecografia mammaria.

Il comunicato stampa presente sul sito dell’istituto, informa che “non è attualmente dimostrato un legame causa-effetto fra le protesi PIP e l’insorgenza di tumori del seno”. Il rischio rottura, precisa il comunicato, esiste per tutte le protesi mammarie ed è legato al normale processo di usura, tuttavia, per gli impianti PIP questo rischio è più elevato. Lo IEO, conclude il comunicato, “è costantemente in contatto con il Ministero della Salute Italiano e provvederà a ricontattare le pazienti in caso di nuove raccomandazioni”.

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3 novembre 2011 4 03 /11 /novembre /2011 20:03

imagesCAHAEAUI 

Si chiama Lumineyes la tecnica avveniristica, made in California, che in soli 20 secondi sarà in grado di realizzare il sogno di tanti, esibire uno sguardo nuovo di zecca, azzurro più che mai. E che importa se l’effetto potrebbe fare un po’ impressione, in fondo sarà sempre meglio dello sguardo alieno delle lenti cosmetiche. Il Dr Gregg Homer, insieme al suo staff dello Stroma Medical in California, ha ideato un laser in grado di distrugge il pigmento che rende marrone l’iride. L'occhio schiarirà gradualmente nelle due o tre settimane successive all'intervento. La procedura, sperimentata per oltre 10 anni, non provoca alcun danno alla vista e il suo effetto è irreversibile, il pigmento una volta disgregato dal laser non può in alcun modo rigenerarsi. All’emittente KTLA Morning News il dottor Homer ha dichiarato di avere già ricevuto un migliaio di mail da potenziali clienti.

Qualche dubbio sulla tecnica Lumineyes lo solleva il professore Elmer Tu, associato della Clinica di oftalmologia dell'Università dell'Illinois. Il pigmento disgregato dal laser, spiega il professore, va a disperdersi nel nostro organismo, con il rischio che possa infiltrarsi nel liquido dentro l'occhio e provocare il galucoma pigmentario. La tecnica richiede ancora mesi di sperimentazione che serviranno anche a chiarire i dubbi sui possibili effetti collaterali. Negli Stati Uniti la Lumineyes sarà disponibile entro tre anni per una cifra pari a 5.mila dollari, fuori dagli USA basteranno 18 mesi e circa 3.600 Euro.

 

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